La bottega del caffè

La bottega del caffè - di Carlo Goldoni con Michele Placido

 

TEATRO

di Carlo Goldoni
con Michele Placido

Sabato 25 febbraio, ore 21
Domenica 26 febbraio, ore 16


e con 
Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi,
Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore,
Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos

regia Paolo Valerio
scene Marta Crisolini Malatesta
costumi Stefano Nicolao
luci Gigi Saccomandi
musiche Antonio Di Pofi
movimenti di scena Monica Codena
coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia,
Goldenart Production, Fondazione Teatro della Toscana
 
 
La Bottega del caffè” di Carlo Goldoni, capolavoro che appartiene alle “sedici commedie nuove” composte dall’autore nel 1750 è il nuovo progetto portato in scena da tre grandi realtà produttive italiane come il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, la Fondazione Teatro della Toscana e Goldenart Production.
Una notevole compagnia d’attori capitanata da Michele Placido – grande protagonista del mondo dello spettacolo italiano – è al centro di un’edizione nuova e accurata firmata da Paolo Valerio che anticipa: «Accogliamo appieno e portiamo sulla scena tutta la vitalità e il divertimento della commedia, la comprensione che l’autore mostra per l’uomo – di cui ritrae con sottigliezza le virtù ed i lati oscuri – il suo amore viscerale per il teatro, per la scrittura, per gli attori, sulle cui potenzialità costruiva personaggi universali. Di questo testo meraviglioso è protagonista un microcosmo di persone che gravitano in un campiello veneziano. Don Marzio - il nobile napoletano che osserva seduto al caffé questo piccolo mondo e con malizia ne intriga i destini - nella nostra edizione è interpretato dal bravissimo e carismatico Michele Placido. Lo attorniano figure tutte importanti, ognuna ambigua e interessante: una coralità in cui la pièce trova il fulcro del suo impeccabile meccanismo, che imprime ritmi vorticosi alle interazioni fra i personaggi. Cosa succede? Nulla di clamoroso: qualcuno si rovina al gioco, due amanti si ritrovano e si perdonano, qualche sogno s’infrange… ma soprattutto si spettegola. È Venezia – come dice Don Marzio – un paese in cui tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento».
 
«Il luogo della scena, che non cambia mai, merita qualche attenzione: è una piazzetta nella città di Venezia. Di fronte vi sono tre botteghe: quella in mezzo è un caffè, quella a destra è occupata da un parrucchiere e l’altra a sinistra da un biscazziere. Da una parte, vi è fra due calli, una casetta, abitata da una ballerina, dall’altra una locanda». È lo stesso autore a descriverci nei Memoires la scena con perfetta unità di luogo, in cui si svolge “La bottega del caffè”: una commedia che da subito si annuncia corale, interessata a diverse figure e vicende, incentrata su un microcosmo attraverso cui Goldoni tratteggia uno sfaccettato affresco sociale e umano. Vi appartengono Eugenio un giovane mercante vittima della dipendenza dal gioco, e la sua giovane sposa che tenta di riportarlo sula retta via allontanandolo dalla casa da gioco del cinico Pandolfo. Anche il nobile Flaminio frequenta la casa da gioco sotto falso nome, contrastato dalla moglie Placida, mentre la ballerina Lisaura ignara di questo legame, spera di cambiar vita accanto a lui… Quante vanità, speranze, delusioni scorrono dunque davanti agli occhi di Ridolfo, il saggio proprietario della caffetteria e quante vicende arrivano all’orecchio malizioso di Don Marzio, nobile napoletano che sorseggiando il caffè osserva questo piccolo mondo e si diverte a manipolarne i destini. Al personaggio – un grande e carismatico protagonista del mondo dello spettacolo italiano – Goldoni assicura una decisa e intrigante centralità. « (…) un chiacchierone maldicente, molto originale e comico – lo descrive nella stessa pagina dei Memoires – è uno di quei flagelli dell’umanità che preoccupa tutti quanti, infastidisce i frequentatori abituali del caffè». E a proposito del carattere di Don Marzio aggiunge un aneddoto: «quello del maldicente era applicabile a molte persone conosciute. Una di esse se la prese con me; fui minacciato, si parlava di spade, coltelli, pistole; ma, curiosi, forse, di vedere sedici commedie nuove in un anno, mi concessero il tempo di terminarle».

Se Ridolfo incarna i buoni principi borghesi e mercantili, Don Marzio si pone come antagonista, ma lo fa con notevole sottigliezza e fantasia: carpisce le confidenze e i segreti dei vari personaggi, capta notizie e non le verifica, ma le distorce a piacimento, tirando per un po’ le fila della trama… Finché l’intrigo non esplode a suo sfavore, per colpa di una sua ingenuità. Il malvagio viene punito, isolato dalla società veneziana, che intanto però ha mostrato le sue virtù assieme a parecchi lati oscuri. «Soccombendo a quanto la sua lingua pettegola ha incautamente spiattellato - sottolinea infatti Piermario Vescovo in “Goldoni e il Teatro comico del Settecento” - a conclusione della commedia don Marzio finisce con l’assumere il ruolo del bugiardo, avendo egli in realtà rivelato la verità attraverso un’osservazione deformata della realtà e attraverso la pratica di una maldicenza quasi ingenua (…) Inventa e calunnia, ma finisce con lo scoprire verità nascoste. In particolare, verso il finale è lui a rivelare al capo dei birri il luogo in cui il biscazziere Pandolfo poco prima gli ha confessato di nascondere le carte truccate, così da causarne l’arresto, salvando dalla rovina il mercante Eugenio, imperterrito giocatore. Don Marzio, non il buon Ridolfo, caffettiere onorato che esercita vicino alla bisca clandestina, permette con questa azione la giusta punizione e la chiusura dell’esercizio fraudolento. (…) Nelle ultime scene don Marzio è solo, al centro del campiello, e i vari personaggi compaiono alternandosi dalle finestre e dalle porte degli edifici che si affacciano sulla piazzetta, protestando uno dopo l’altro per gli equivoci e le false dicerie, ma in realtà facendo di lui il capro espiatorio delle loro colpe e omissioni». Moderna e complessa, ricca di ironie e acutezze, la commedia unisce una sapiente scrittura drammaturgica corale all'italiano settecentesco parlato, superando la stessa caratterizzante unità d'ambiente, quella di un campiello veneziano, dalla mattina al tramonto, in uno spaccato di vita quotidiana, che mette insieme lo spazio aperto di un caffè e quello chiuso di una casa da gioco clandestina. 
 
 

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