THE WALL_DANCE TRIBUTE

 

DANZA

THE WALL_DANCE TRIBUTE
MM Contemporary Dance Company

 Venerdì 27 febbraio, ore 21

coreografia Michele Merola
regia Manuel Renga
musica Pink Floyd
regia video Fabio Massimo Iaquone
drammaturgia Emanuele Aldrovandi
luci Gessica Germini
costumi Nuvia Valestri
attore Jacopo Trebbi
danzatori: Filippo Begnozzi, Mario Genovese, Paolo Giovanni Grosso, Aurora Lattanzi, Fabiana Lonardo, Federico Musumeci, Giorgia Raffetto, Alice Ruspaggiari, Diletta Savini, Nicola Stasi, Giuseppe Villarosa

produzione Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Ravenna Festival, MM Contemporary Dance Company
inserito nel circuito ATER Fondazione

 

La nuova produzione The Wall_Dance Tribute, che vede protagonisti i danzatori della MM Contemporary Dance Company, interpreti delle coreografie di Michele Merola, e l’attore Jacopo Trebbi, prende vita dallo storico concept album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1979, e dall’omonima pellicola cinematografica di Alan Parker. The Wall è un’opera progressive, nata dal sentimento di rabbia e frustrazione del leader della band britannica, Roger Waters, conscio del progressivo allontanamento tra artista e pubblico, del distacco tra performance e fruizione. La vita del suo alterego, la rockstar Pink, si snoda attraverso le tracce del concept-album: la morte del padre in guerra, le vessazioni di un insegnante frustrato, le attenzioni asfissianti di una madre iperprotettiva e insicura, il matrimonio con una donna assente e infedele, la droga, le pressioni dello show-business rappresentano i mattoni che, poggiandosi l’uno sull’altro, erigono il muro che separa l’uomo dal resto del mondo. Nello spettacolo, Pink (interpretato da Jacopo Trebbi) è l’alter-ego di Roger Waters. Al culmine del delirio alienato e autoreferenziale, vince tuttavia la volontà di abbattere quel muro, di liberarsi dalle oppressioni e di spogliarsi delle maschere, per mostrarsi per quel che realmente si è e aprirsi all’esterno e al prossimo: solo con l’empatia, l’unione e la partecipazione sarà possibile costruire un futuro migliore. I linguaggi si intersecheranno per costruire uno spettacolo cangiante dove le musiche, la danza, la recitazione e le video proiezioni non hanno un confine preciso e definito. Proprio come accade nell’adattamento cinematografico, la storia, i flashback, le voci dei personaggi saranno in continua condivisione, si sovrapporranno tra loro per costruire la storia di Pink e la sua “folle confusione”, raccontata attraverso l’intrecciarsi delle arti in questo spettacolo composito, sospeso tra teatro, danza e musica.

The Wall è un manifesto, un atto di protesta contro un mondo, contro una società che non rispetta gli uomini in quanto esseri senzienti e liberi. Quella in cui vive Pink è una società post industriale in cui tutti hanno un ruolo e devono rispettarlo, a discapito della loro unicità. Mattoni in un muro. The Wall è anche uno fra i più importanti rock concept album che siano mai stati creati. Per questo sul palcoscenico abbiamo costruito un progetto composito, ricco, sfaccettato che possa rendere le suggestioni del capolavoro dei Pink Floyd attraverso una lettura e linguaggi contemporanei e originali. Una compagine di danzatori, un attore, video proiezioni, strumenti al servizio del messaggio profondo e chiaro di questo album: proviamo ad abbattere quel muro di solitudine e aprirci al mondo. Come probabilmente i fan della band britannica sanno bene, l’idea di The Wall nasce da dieci anni di tournée, di spettacoli rock tenuti in particolare fra il 1975 e il 1977. La band suonava di fronte a un pubblico molto numeroso formato dalla “vecchia guardia” che partecipava per sentire la loro musica e da un nuovo pubblico che, a detta di Waters, era ai concerti solo “per la birra, per urlare, per fare casino”. Suonavano in grandi stadi di conseguenza, il concerto diventava un’esperienza piuttosto alienante. “Mi sono reso conto che c’era un muro tra noi e il nostro pubblico e quindi questo disco è nato come espressione di questi sentimenti” dice Roger Waters in un’intervista a Tommy Vance del 1979.
Manuel Renga